Ripartire ai tempi del Covid-19, è questione (anche) di metodo
Prima di tutto, buon anno.
Qualche settimana fa, in occasione di una giornata di master organizzata dalla Business School de Il Sole24Ore, tra gli altri temi si è discusso e scritto sulle difficoltà di pensare ad una ripartenza, per tutte le imprese ed in senso lato le organizzazione che siano state più o meno colpite dagli effetti economici del dramma pandemico che stiamo vivendo.
Ne approfitto per proporre una serie di riflessioni, frutto anche di quella occasione di confronto e approfondimento, in una specie di storia a puntate, di cui la prima “in onda” oggi.
In una fase così difficile come l’attuale, in cui la pandemia da Covid-19 rende ancora più complesso, se possibile, formulare concrete previsioni, proviamo a vedere se sia possibile fare una proposta di metodo, e di percorrere la difficile via del risanamento dell’impresa in crisi. Procederemo con ordine, a puntate, esaminando soprattutto le logiche, e lasciando l’esame degli strumenti al futuro, quando il nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza avrà (finalmente) visto la luce.
Bisogna provare a capire quale debba essere l’approccio professionale all’analisi e alla possibilmente precoce individuazione delle condizioni di crisi, in una fase in cui il danno inferto dalla pandemia e dalle conseguenti misure restrittive possa ancora sperare in un riequilibrio reddituale e patrimoniale sulla base di logiche di risparmio e ottimizzazione, prima che di accesso a strumenti invasivi e talvolta drammatici, che passato il limite divengono irrinunciabili. In quella fase, di diagnosi precoce, la soluzione passa dalla correzione tempestiva e determinata dei conti e delle filiere di costo, iniziative che l’imprenditore esperto, attento e sveglio sa assumere, se del caso supportato dal consiglio di chi dall’esterno riesce in molti casi ad avere una visione più asettica, e meno condizionata dalle relazioni e dalle abitudini. Ne uscirà un giudizio, una valutazione, che costituiscono il driver principale del piano, la condizio sine qua non, necessaria anche se purtroppo spesso non sufficiente. Se il conto economico regge, o può reggere a valle degli interventi, lo sviluppo del piano ha senso, e si può procedere al successivo momento, quello in cui trova definizione il fabbisogno finanziario, e quindi la somma necessaria a supportare il piano.
L’impresa in difficoltà deve avere il tempo di reagire e di ritrovare la via dell’equilibrio. Oggi, con un futuro così incerto, sia nel breve termine che per molti aspetti nel medio-lungo, l’imprenditore deve operare in ambiti che non gli sono storicamente familiari. È il territorio della tattica, di quegli accorgimenti ed attenzioni che limitano il rischio e favoriscono la prosecuzione del lavoro in una condizione che somiglia alla normalità, che in realtà non è. Lo sforzo quotidiano ma non sempre coordinato tenta di preservare il rapporto con le banche, che fatte salve le misure straordinarie garantite dallo stato tendono a rientrare, con i fornitori che insistono per ricevere il pagamento, con il personale, e non ultimo con l’erario, troppo trascurato ed invece talmente importante da poter compromettere, se abusato, l’intero progetto di recupero. Ognuno di questi aspetti richiede invece molta attenzione, se si vuole giocare d’anticipo e reagire alla straordinaria e drammatica situazione attuale. Sapere cosa fare, come comportarsi e che consigli dare è importante, talvolta determinante.
Quanto agli strumenti tecnici che possono assistere, mai sostituire, il piano di risanamento, è noto come una radicale riforma pur tormentata, sia in itinere, e dovrebbe nel settembre 2021, stando alle attuali disposizioni, entrare in vigore. Al momento la Legge Fallimentare prevede numerose opzioni, di cui quattro utilizzabili anche se in circostanze totalmente diverse tra loro. Il piano attestato, sopravvalutato alla sua nascita ed attribuito di doti taumaturgiche che gli sono estranee, conserva tuttavia la capacità di escludere il rischio di revocatoria nella successiva procedura di fallimento, nella denegata, ma statisticamente concreta, ipotesi che il piano non abbia successo. Ha l’indiscutibile vantaggio di essere unilaterale e per nulla invasivo, oltre che portatore di seppur modeste soddisfazioni fiscali, oltre che di sempre più vive preoccupazioni per il professionista chiamato a giudicarlo fattibile. L’accordo di ristrutturazione del debito, intelligente nella sua struttura, e tuttavia acerbo nell’applicazione, di fatto possibile quando la parte significativa dei creditori è costituita da pochi soggetti, preferibilmente banche o grandi società, ed il piano possa prevedere la disponibilità di denaro in misura cospicua, per il pagamento dei creditori dissenzienti. Strumento flessibile, convenzionale ed ormai pacificamente fuori dal novero delle procedure concorsuali, e tuttavia difficile da applicare in modo efficace. Il concordato preventivo, strumento concorsuale nelle attese duttile si è invece rivelato estremamente costrittivo, e soffre di problemi che l’applicazione ormai decennale della più recente versione non ha mai risolto. Taluni aspetti sono estremamente critici, la giurisprudenza di merito ondivaga, e spesso in contrasto con quello di legittimità, per un quadro di fondo difficile da interpretare ed utilizzare. È stato molto popolare per un breve periodo dopo l’introduzione nel settembre del 2011 della facoltà di prenotazione della procedura, in attesa che il piano sia confezionato. Si capì in fretta che la prenotazione diventava spesso sinonimo di dilazione fine a se stessa, sino a diventare semplicemente e tristemente l’anticamera del fallimento, extrema ratio, che raramente lascia spazio a scenari di anche solo parziale continuità, fatto salvo l’utilizzo talvolta del concordato fallimentare che, per ampiezza delle opzioni che offre, ragguardevole e di impianto simile alla versione “preventiva”, per l’anzianità di carriera della sua forma attuale e per alcuni indubbi vantaggi in termini di incisività sul debito erariale, ne fanno uno strumento affidabile e talvolta straordinariamente utile, anche se per definizione intempestivo.
Ma gli strumenti vengono dopo, l’analisi non può che partire dal conto economico, e cercheremo di capire come dalla prossima puntata.
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