Ripartire ai tempi del Covid-19. Conto economico, il punto di attacco.
Lo abbiamo anticipato, qualsiasi progetto di risanamento e rilancio, anche e soprattutto in questo momento drammaticamente straordinario, inizia dall’approccio, possibilmente precoce, all’analisi dei sintomi della crisi. Dottrina e accademia hanno per decenni studiato gli indicatori utili allo scopo, ve ne sono diversi e nessuno attribuibile di doti divinatorie, e tuttavia certamente utili a chi per sintesi debba percepire prima, per poter intervenire (subito) dopo, il formarsi della crepa prima che sia crepaccio o frana. Quando la situazione diviene chiara, ed il più o meno veloce depauperarsi di redditività e patrimonio acclarato, quello è esattamente il punto di innesco dell’intervento di risanamento, che funzionino o meno le procedure di composizione assistita di cui tanto si è parlato commentando il nuovo Codice della crisi, che vedrà la luce a settembre di quest’anno, fatte salve ulteriori proroghe. E se la pandemia avesse ingenerato una situazione di tensione finanziaria e sofferenza reddituale palpabili, allora è indispensabile intervenire, prima che la bolla della finanza straordinaria, del congelamento delle perdite, della continuità per legge (si fa per dire…) e delle politiche di bilancio autorizzate ben oltre il limite del tollerabile (vedi la sospensione degli ammortamenti …) svanisca. Il trascinarsi della situazione ingenera altrimenti quei tipici comportamenti (ritardo nei versamenti, tanto lo stato non se ne accorge mentre il fornitore sì, maquillage di bilancio, etc.) che poi aprono la via del baratro, nel nome di una eterna e incrollabile speranza nel domani in sé e per sé, come se il bel tempo dovesse sempre arrivare, da solo e senza nemmeno l’invito. E invece spesso non accade, anzi mai. Quando le difficoltà arrivano gli ordini non aumentano, ma le perdite sì, come i debiti, fino a compromettere l’equilibrio, la credibilità con i fornitori, il rating bancario e con lui gli affidamenti, la fiducia dei clienti e la fedeltà dei dipendenti. Insomma il tracollo che inesorabile progredisce. A meno che non vi sia una ragionata reazione, prima che l’inerzia prevalga.
E allora il primo punto di attacco è il conto economico. Ci si ponga la domanda: si può tornare alla redditività, con un rischio di insuccesso tollerabile? L’approccio qui deve essere scettico. Non v’è dubbio che la pandemia abbia causato non solo danni, ma anche modifiche sostanziali alle abitudini dei consumatori, ed in questo contesto l’imprenditore deve sforzarsi di ammettere che la sua creatura è più o meno gravemente malata.
Una volta presa la decisione l’analisi è di due tipi.
La prima, di mercato. Non c’è azienda che regga senza vendere. Concetto tanto ovvio quanto trascurato. Si eviti accuratamente, soprattutto in questo momento storico, la tentazione di accettare o utilizzare proiezioni delle vendite aritmeticamente, ed acriticamente, basate sul passato. La stima più contenuta rischia di essere nella migliore delle ipotesi azzardata ed immotivata. È indispensabile che qui il professionista tradizionalmente contabile, per quanto esperto e sensibile, lasci il passo a chi si occupa di marketing, di analisi del mercato, e di approccio al cliente. Sono aspetti in tale rapida evoluzione che l’imprenditore piccolo e medio, onesto e dedito, spesso non conosce, non perchè non sappia fare il suo mestiere, ma semplicemente perché non può, la sua scuola è altra. E quando la sua scuola lo tradisce ed il mondo intorno diventa maledettamente complicato ed imprevedibile, è disarmato. Deve accettare a quel punto un confronto con chi, con mosse talvolta semplici, e talvolta no, gli indica una via più o meno nuova (se c’è). La tendenza moderna della gestione delle piccole imprese, impostata sulle relazioni e sulla fiducia a tutto campo, sul lovemark di Kevin Roberts, CEO di Saatchi & Saatchi, di più che sul branding, sul why piuttosto che what di Simon Sinek, è in tale rapida evoluzione da richiedere un indirizzo, pur sapientemente selezionato. Solo dopo aver capito dove il Covid-19 ha colpito, cosa forse anche prima non funzionava, e cosa va fatto per alimentare le vendite, un ragionevole e ragionato piano del fatturato può essere costruito, che si basi sulla vision, magari inconsapevole, e sulle reali ragioni per cui l’impresa è sul mercato, partendo dal suo passato (connecting the dots – S. Jobs) e declinando le azioni per plasmare il futuro.
A valle del fatturato invece l’imprenditore sa benissimo cosa dice, ed è capace di quantificare l’effetto degli interventi che lui immagina sulla filiera e sui costi. Sa cosa è impostante, quanto si risparmia e quando si comincia. Ci sono tipologie di costo e meccanismi che non consentono risparmi immediati. Uno per tutti la base occupazionale. La sua riduzione è l’ultima delle misure da adottare, drammatica e pericolosa perchè letale per la fiducia e la motivazione di chi rimane in azienda. Se fosse indispensabile deve essere chiaro che, fatte salve le misure straordinarie attuali, la procedura per realtà non piccolissime in cui l’intervento non sia individuale richiede tempo, e l’attivazione degli ammortizzatori sociali richiede soldi, per cui all’inizio non solo non si risparmia, ma si spende di più.
Analoga considerazione per altre tipologie e nature di costo. Vanno percorse tutte le voci di conto economico, va capito cosa contengono e in che misura consentono risparmi. Nei posti più impensati a volte si trovano soluzioni, specie nelle realtà piccole in cui talvolta, purtroppo, la distinzione tra le tasche aziendali e quelle personali perlomeno vacilla.
Mano a mano che l’analisi procede si incasellino i numeri, un quadro ragionato in termini di volume di attività, riduzione di costi ed azioni necessarie. Alla fine il quadro inizierà ad emergere, e probabilmente lo scenario che l’imprenditore avrebbe voluto ed ha immaginato cambia, in peggio. Le azioni richiedono tempo, così come gli effetti delle manovre di marketing, anche le più semplici.
Il risanamento richiederà probabilmente di scavare ancora prima di risalire. Il fatto in sé non è gravissimo, anzi spesso è normale. Va però capito e tenuto in considerazione, altrimenti non potremmo quantificare correttamente la seconda delle architravi del progetto, il fabbisogno finanziario. Ed allora sarebbe come avere un motore potenzialmente prestazionale, e non avere benzina.