Non è un Paese per timidi
E’ recentemente trapelata la proposta di riforma dell’arbitrato (licenziata dalla competente Commissione istituita dall’attuale Ministra della Giustizia), tassello che dovrebbe inserirsi nel più ampio progetto di riforma della giustizia civile.
Il testo – rimarchevole per alcune scelte di tipo sistematico – può essere tuttavia definito a personalissima opinione del sottoscritto come un atto mancato, essendo privo di un qualche meccanismo che effettivamente incentivi gli utenti del sistema giustizia a preferire l’arbitrato all’ordinario giudizio avanti l’Autorità Giudiziaria.
Tale incentivo – se si vuole creare un virtuoso volano dell’istituto – non dovrebbe che essere di natura economica: basterebbe probabilmente la previsione di un diritto ad un credito di imposta per le spese ed i corrispettivi versati agli arbitri.
La stessa previsione della facoltà degli arbitri di emanare provvedimenti cautelari in corso di procedimento (apparente vera novità, ma che in realtà allineerebbe l’Italia alla maggior parte degli altri Paesi) risulta a ben vedere pesantemente limitata, riducendo l’effetto deflattivo probabilmente cercato (la facoltà è ricondotta alla previsione, nella clausola arbitrale o nella convenzione d’arbitrato, di uno specifico potere in tal senso).
Credo che questo non sia il momento storico per decisioni timorose nell’importante processo della riforma del nostro Paese e (per quanto riguarda il campo di mio interesse) della Giustizia.
L’arbitrato (caratterizzato da una duttilità e da una rispondenza senza equali) può essere la chiave per sbloccare l’ancestrale inefficienza che caratterizzala Giustizia civile: bisogna avere il coraggio di scardinare rendite di posizione.
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